Tutto quello che sai (e che non sai) sulla nuova Ferrari F80

Le supercar in serie limitata prodotte dalla Ferrari, si sa, sono tra gli oggetti del desiderio più ambiti da collezionisti e appassionati sin da quando, con l'avvento della 288 GTO, è stato inaugurato un filone che prosegue tutt'oggi e che, passando da nomi prestigiosi del calibro di F40, F50, Enzo e, più recentemente, LaFerrari, si è fatto portatore di tutti i valori tecnici maturati in anni di militanza nelle competizioni ai massimi livelli.
Ognuna di queste vetture si è, infatti, contraddistinta per una serie di innovazioni molto specifiche e sempre in linea con le tendenze tecniche ad esse legate. Se si analizza ognuna delle vetture appena menzionate, si può immediatamente contraddistinguere una particolare impostazione che avvicina il prodotto stradale alla controparte utilizzata in pista, come i motori sovralimentati nel caso delle varie 288 GTO e F40 nate nella prima era turbo della Formula 1, un V12 con cambio e propulsore aspirato di derivazione sportiva, più precisamente dalla vittoriosa e leggendaria F333SP, o ancora il propulsore, sempre plurifrazionato, da sei litri utilizzato dalla Enzo in combinazione con un cambio robotizzato, aerodinamica attiva ed elettronica evoluta e, infine, il powertrain ibrido mostrato sulla LaFerrari un anno prima del debutto di questa tecnologia, comunque già vista a Le Mans nel 2012, nell'ambiente F1.
Insomma, quando si parla di "halo car" Ferrari, è sempre obbligatorio conoscere e avere a mente quello che è lo stato dell'arte in ciascuna delle categorie in cui la Casa di Maranello decide di impegnarsi agonisticamente.
Nel caso della nuova F80, il cui sobrio ed elegante nome intende celebrare, in maniera del tutto analoga a quanto già fatto in passato, gli ottant'anni di attività di Ferrari come costruttore di automobili, è importante avere a mente il doppio impegno che Ferrari ha preso nel mondiale Endurance, dove schiera la 499P, e in Formula 1, la cui tecnologia ibrida più spinta si appresta ormai a tramontare per via di un cambio regolamentare previsto per il 2026. Tuttavia, quanto imparato nel corso di questi anni non va assolutamente disperso in quanto costituisce materiale prezioso, in termini di know-how, da cui poter attingere e se ad esso si sposa quanto maturato, non solo propulsivamente, con le due vittorie ottenute a Le Mans con la splendida 499P, allora si ottengono le basi di una ricetta potenzialmente incredibile.

L'architettura della F80 poggia su un classico telaio monoscocca in fibra di carbonio la cui composizione superficiale, in termini di layup e fibra adottata, varia in base alla zona di applicazione in ottemperanza alle necessità strutturali richieste. La cellula centrale si abbina a telaietti ausiliari anteriori e posteriori la cui tenuta è assicurata mediante bulloneria in titanio, e il cui compito è quello di assorbire le vibrazioni provenienti dalla strada mediante i punti d'attacco delle sospensioni ad essi incernierati e dal gruppo motopropulsore, che non svolge funzione stressata come scelto per la F50, caso unico nella storia delle sportive stradali di Maranello.
In tal modo, Ferrari intende assicurare un buon compromesso in termini di comfort senza penalizzare le prestazioni, pur pagando qualcosa in più in termini di peso, ma che si rende necessario anche al fine di alloggiare la batteria destinata ad alimentare il complesso sistema ibrido. Da un punto di vista dinamico, la F80 è una delle Ferrari che più strizza l'occhio alle competizioni ma, a questo, abbina anche una serie di innovazioni che la rendono estremamente versatile e, per tale ragione, adatta anche a un più tranquillo utilizzo su strada. In particolare, la nuova nata adotta il doppio quadrilatero quale architettura cinematica caratteristica di tutti e quattro gli angoli del veicolo, a cui abbina gruppi molla-ammortizzatore indipendenti, azionati ciascuno da un motore a 48V che conferisce una funzione attiva a ciascun elemento.

Nello specifico, il gruppo smorzante è incernierato a un rocker realizzato mediante generative design e additive manufacturing, due termini che identificano rispettivamente la forma organica del componente, ottimizzata esclusivamente in funzione dei carichi ricevuti, e il processo produttivo attraverso cui è realizzato, ovvero sinterizzazione additiva. L'adozione di un sistema attivo consente un'ottimizzazione del comportamento del veicolo nelle più disparate condizioni, tanto che si tratti di uso su strada quanto su pista. L'intervento degli ammortizzatori si concentra sul minimizzare i trasferimenti di carico in frenata e in accelerazione, dunque assolvendo a una funzione di anti-dive e anti-squat a seconda del caso, mentre si occupa di garantire adeguati livelli di rigidità quando impiegato su pista per favorire la reattività della vettura, privilegiando, al contrario, una maggiore permissività e morbidezza quando utilizzato su strada e, dunque, in condizioni ben più lontane da quelle ideali delle superfici piatte tipiche delle piste.

Due necessità apparentemente antitetiche, ma che vengono egregiamente assolte grazie all'uso di questi elementi attivi che, tra le altre cose, servono anche a variare l'assetto della vettura in corrispondenza delle diverse esigenze aerodinamiche, dunque variando l'altezza per far lavorare meglio il fondo a seconda delle necessità. E proprio l'aerodinamica appena menzionata assume un ruolo del tutto centrale nell'economia tecnica della F80, un ruolo che ha determinato un cambio di approccio radicale da cui sono scaturite forme, almeno per gli standard Ferrari, altrettanto radicali. La F80 è caratterizzata da linee tese ed estremamente funzionali, in cui si percepisce nettamente l'ispirazione direttamente derivata dalla 499P, come testimoniato dalle canalizzazioni laterali e dai passaruota anteriori muniti di sfoghi che rimandano a quelli visti sulla vincitrice della classica francese.

Pur adottando uno schema di raffreddamento complesso ed esigente, legato prevalentemente alle necessità di smaltimento termico sia della parte a combustione (ICE) che, ancor più, di quella elettrica e che ha richiesto il dispiego di un gran numero di elementi radianti, i tecnici italiani sono riusciti a lavorare per sottrazione, scavando laddove lo spazio ha consentito e portando alla realizzazione di ampi canali sopra e sotto il corpo vettura, con Venturi di notevoli dimensioni al retrotreno, costituendo di fatto i più grandi mai visti su una Ferrari stradale, anche grazie all'inclinazione di 1.3° in avanti di tutto il gruppo motopropulsore per liberare spazio verso il basso, e producendo una interessante architettura all'avantreno che ruota attorno a un S-Duct posto davanti alla cellula abitativa. Quest'ultimo permette di alloggiare un gruppo alare in configurazione triplano, per principio analoga a quella della 499P, che consente di generare un carico pressoché indisturbato grazie al percorso che l'aria compie proprio in uscita dal condotto, a cui si abbina un ulteriore Gurney che si estende verso il basso a partire dal bordo di uscita del profilo principale al fine di variare la generazione di carico in corrispondenza di configurazioni differenti.

A far capolino per la prima volta su una stradale di Maranello è anche la chiglia centrale posta subito dopo i profili appena citati e che, anche qui con una chiara ispirazione derivante dalla LMH, permette di deviare il flusso verso le canalizzazioni laterali anche mediante l'adozione di deviatori verticali, o strakes, ancorati a un vero e proprio tea-tray, o vassoio se preferite, e che consentono al fondo di lavorare indisturbato grazie all'allontanamento delle turbolenze generate dalle ruote. Anche in questo caso, le canalizzazioni laterali lavorano in maniera del tutto simile a quanto visto sulla 499P, nonché su tutti i prototipi di origine Dallara, secondo cui l'aria proveniente dall'avantreno può risultare utile ad alimentare i sistemi di raffreddamento posti davanti alle ruote posteriori, incluso il condotto che porta al gruppo pinza-disco freno, mediante un canale scavato nella fiancata che conduce ad una apertura pensata per assolvere tale funzione. Elementi, questi, che più di qualsiasi altro permettono di caratterizzare la parentela ideale tra la supercar italiana e la "parente" che corre a Le Mans.

Al retrotreno spuntano, infine, alcuni elementi inediti per una vettura del Cavallino, come l'alettone posteriore attivo monoplano ad incidenza variabile a tutta lunghezza che lavora, come intuibile, a diversi valori di angolo d'attacco al fine di garantire un carico più o meno elevato a seconda della necessità. Ad esso fa eco, in basso, una ampia zona di estrazione del diffusore nettamente separata dai bordi d'uscita dei passaruota posteriori, con dei singoli elementi alari muniti di winglet orientati verso il basso adottati al fine di ripulire la turbolenza nociva generata dal rotolamento degli ampi pneumatici e ridurre, di conseguenza, il drag, proteggendo la zona di depressione creata dall'estrattore. Grazie a queste soluzioni di derivazione 499P, seppur contestualizzate in un contesto ben diverso e meno estremo e, dunque, con le dovute licenze del caso, la F80 è capace di generare 1.050 kg a 250 km/h, un valore di tutto rispetto che la pone, allo stato attuale, in diretta concorrenza con la McLaren W1 recentemente presentata, tracciando la nuova tendenza in fatto di prestazione aerodinamica per una supercar.

Oltre a quello aerodinamico, è il lato propulsivo a destrare, di fatto, il maggior scalpore. Partendo dalle cifre, si nota subito quanto queste siano notevoli: potenza specifica di 300 CV/l, 900 CV provenienti dalla sola unità termica e ben 1.200 complessivi tra parte elettrica e parte termica. Il tutto, condito da ben due motori elettrici, una batteria ad alta tensione e quel medesimo V6 che, pur discendendo da quello utilizzato 296 GTB e ora dotato di funzione strutturale, ritroviamo proprio sulla 499P.
Si nota subito quanto imparentate le due architetture a V di 120°, lubrificazione a carter secco, ovvero con circuito dell'olio sempre in pressione, e configurazione a doppio turbocompressore collocata nella parte calda della V, donde la definizione di "hot-vee", siano tra di loro e questo non solo dona alla F80 un prestigio corsaiolo tutto suo, ma permette di far uso di una unità altamente efficiente e che ha superato il banco prova più duro esistente in tutto il mondo delle corse automobilistiche, ovvero la 24 Ore di Le Mans, portando con se tutti i vantaggi comprovati legati ad un già ottimo livello di consumo ed efficienza termica e, in più, una potenza che è persino maggiorata per via dell’assenza di restrizioni legate al BoP, ovvero il Balance of Performance, presente nel Mondiale Endurance.

Oltre ad una unità termica particolarmente efficiente, la F80 fa sfoggio anche di tutto il know-how accumulato in Formula 1 e nel WEC attraverso l'adozione di un intricato sistema ibrido che sposa entrambe le tecnologie all'interno di un'unica piattaforma. Per i più avvezzi al mondo delle competizioni, se si nominano elementi come MGU-K e MGU-H non si nomina nulla di nuovo, ma basti pensare che, in termini semplicistici, si tratta rispettivamente di elementi che recuperano l’energia prodotta dal trascinamento degli organi meccanici del propulsore e del sistema di sovralimentazione, con la possibilità di imprimere una ulteriore accelerazione all’intero gruppo motopropulsore attraverso l’erogazione dell’energia dalla batteria verso gli elementi meccanici. Nel caso in questione, sistemi come questi trovano spazio ancora una volta al retrotreno e, seppur con le dovute differenze, svolgono funzioni del tutto simili anche grazia alla presenza dell'MGU-H, ora presente sotto la denominazione di e-turbo, e a cui si abbina anche il meglio che l'esperienza nel WEC ha saputo offrire ai tecnici di Maranello, testimoniando ancora una volta l'importanza che le corse ricoprono nel panorama motorismo globale.

Nella fattispecie, nonché in maniera analoga a quanto svolto sulla 499P così come imposto dai regolamenti per la classe LMH del Mondiale Endurance, ritroviamo un assale anteriore elettrificato, ora composto da due motori, un inverter e un sistema di raffreddamento dedicato che consente di applicare il torque vectoring, ovvero una coppia differenziale, alle ruote anteriori, simulando effettivamente la presenza di una trazione integrale così come avviene nel caso dei prototipi, a tutto beneficio della tenuta di strada e del comportamento del veicolo. La batteria, collocata centralmente, ha infine il compito di ridistribuire l'energia tra i due assali, conferendo un comportamento meccanico ideale in pressoché ogni circostanza, tanto che si tratti di una guida concitata in pista, quanto di una tranquilla passeggiata per strada.

La F80, al netto di tutte le sue notevoli complessità ingegneristiche, riesce ad impacchettare un sistema intricatissimo in un packaging lungo 4,85 metri, largo poco più di due e riuscendo a mantenere il passo su soli 2.665 mm, un fatto eccezionale se si pensa agli ingombri legati a batteria, inverter, motori elettrici e, soprattutto, radiatori. Il tutto, in una veste che strizza l'occhio alle corse e che è pronta ad accogliere i fortunatissimi 799 possessori (che dovranno sborsare quasi 4 milioni di euro, ndr) e, per chi lo vorrà, anche un altrettanto fortunato passeggero in una configurazione talmente "driver-focused" da essere addirittura definita +1. In altre parole, un vero e proprio non plus ultra Made in Maranello.